Benvenuti nella nostra Rubirca “Ci Si Vede in Rete”
Un bel gioco di parole, nato da un confronto costruttivo, per trovare il nome da assegnare a questo nuovo servizio: la rubrica on line del CSV di Vicenza “Ci Si Vede in Rete“.
Nei momenti di difficoltà, lo abbiamo detto e scritto molte volte, ciascuno esprime la propria fatica, si evidenziano gli ostacoli personali e di gruppo, emergono le ferite, le cose non risolte, il carattere che ci contraddistingue, l’operatività e i problemi, però la spinta che si genera può essere positiva, di sfida, di creatività. Anche noi, facendo tesoro dell’esperienza, dei percorsi obbligati, di quelli voluti e cercati, abbiamo messo in campo passione, amore, dedizione e speranza. Così abbiamo trovato nuove modalità per ri-allacciare i legami, per favorire il re-innesco dei circoli virtuosi disattivati, per un legame di cura. Già! Tutto passa per la cura, non soltanto sanitaria, ma anche sociale.
Ecco allora nascere l’esigenza di una nuova immagine, per gli incontri e i racconti on line, dove coinvolgere alcuni di voi insieme a tanti ospiti.
Ci siamo quindi, è nata la rubrica “Ci Si Vede in Rete” e presto riceverete tanti aggiornamenti, perchè a partire da febbraio avvieremo gli incontri e apriremo un blog dedicato, collegato al sito del CSV, e una sezione nella nostra newsletter.
Restate connessi!
Mario Palano, presidente
Maria Rita Dal Molin, direttore
SERGIO MEGGIOLAN
Socio e co-direttore artistico del Centro di Produzione Teatrale La Piccionaia*, Sergio Meggiolan ci accompagnerà nel prossimo incontro di “CSV – Ci Si Vede in Rete” in un viaggio all’interno di una cultura… inclusiva. Il suo lavoro contempla mansioni di ricerca e sviluppo di progetti e produzioni artistiche teatrali, consulenza e ricerca per le stagioni e i progetti di ospitalità dei teatri direttamente gestiti e di altre rassegne territoriali. Sergio cura progetti pre-produttivi occupandosi di scouting, mappature e monitoraggio delle compagnie emergenti, nonché di co-progettazione e co-scrittura del progetto ministeriale. Fa parte degli osservatori critici di Associazione Scenario per la promozione dei giovani talenti del teatro, danza e performing arts; In-Box: rete di sostegno per la circuitazione del nuovo teatro; Anticorpi Xl: rete italiana dedicata alla giovane danza d’autore. È responsabile di comunicazione, della pianificazione delle strategie di promozione e delle attività di audience development ed engagement. Coordina progetti di graphic design, digital art, illustrazione e fotografia per l’emersione di giovani creativi impegnati nelle arti della fotografia e dell’illustrazione.
[*cooperativa sociale impegnata nello sviluppo e nella diffusione di un teatro attento alle sfide del presente, costruttore di significati, capace di aprire e generare nuovi sguardi sulla realtà. Punto di riferimento regionale per le nuove generazioni di artisti e di spettatori, gestisce i teatri: Astra (Vicenza), Ferrari (Camposampiero), Villa dei Leoni (Mira) e si occupa di altri progetti territoriali ed europei in collaborazione con le amministrazioni comunali].
Sergio, con che frase riassumerebbe quest’ultimo anno per il teatro?
Questo è stato un anno decisamente complicato, che ci ha obbligati a una profonda riflessione sulla percezione del tempo, dello spazio e della relazione tra le persone. Il Teatro non è solo un luogo, ma è anche il tempo dedicato ad un rito, che è riflessione e pensiero. Questa esperienza di vita, in un tempo lento e dilatato, fatto di preoccupazioni e paure sul futuro, è stata per noi l’occasione per ripensare le nostre abitudini e riflettere su ciò a cui abbiamo dovuto rinunciare. L’impossibilità di programmare e progettare secondo i soliti standard ci ha permesso di andare in profondità nella ricerca artistica accelerando molti processi che erano già in atto prima della pandemia. In futuro lo ricorderemo come quel momento in cui ci siamo presi del tempo per approfondire lo studio e per scambiarci tantissime opinioni e competenze, facendo nascere laboratori e startup progettuali per indagare nuove forme artistiche e modalità di fruizione dei contenuti culturali. Ci siamo stretti attorno a progetti culturali di senso e abbiamo cercato di coinvolgere i nostri pubblici in quello che possiamo definire un grande laboratorio partecipato di indagine sul ruolo che l’arte ha nella società.
Ricorderemo quest’anno anche come quel momento storico in cui, per la prima volta, sono emerse fattivamente la fragilità del nostro settore lavorativo e la scarsissima tutela dei lavoratori dello spettacolo. Creare cultura significa mettere in moto pensieri, risorse, professionalità. Sono decine le figure professionali che operano davanti e dietro le quinte: e sono per lo più lavoratori intermittenti, a giornata. Senza giornate di spettacolo, per loro non c’è stipendio: una questione che esisteva anche prima, ma che la pandemia ha messo drammaticamente in luce.
Alla luce di questo, cosa si augura per il futuro dello spettacolo?
Ci auguriamo un futuro in cui ci sia maggiore profondità artistica, dove i lavoratori siano maggiormente tutelati e in cui il Teatro possa tornare a farsi comunità dove crescere reciprocamente… Insomma, “la pace nel mondo e Babbo Natale”. Scherzo, ma fino a un certo punto. Siamo tutti stanchi di cinismo, di “uno su mille ce la fa”, di “the show must go on”. Abbiamo scoperto di essere fragili e interdipendenti.
“Quando tutto sarà passato faremo finta di niente?”
Di certo, grazie alla tecnologia, abbiamo scoperto modalità di relazione che hanno contribuito a definire un nuovo rapporto con il pubblico. Utilizzando le webcam siamo entrati nelle case degli spettatori e abbiamo costruito insieme a loro pratiche interattive. Sono state nuove occasioni di incontro, preziosissime, che ci hanno aperto nuove possibilità di relazione: eppure, sempre, è emersa forte e tangibile le necessità di un confronto diretto attraverso la pratica dal vivo. È la natura stessa del Teatro: se non c’è interazione dal vivo, se non c’è partecipazione, il Teatro diventa altro da sé. Il Teatro può avere nuove estensioni, ma il suo nucleo originario e costitutivo è insacrificabile: un fatto artistico e relazionale che accade in un tempo e in uno spazio condivisi. Siamo contrari alla costruzione di quello che è stato definito “Netflix della Cultura”: piuttosto, sogniamo un futuro in cui il Teatro possa tornare a restituire il senso profondo che l’arte dal vivo ha come fatto comunitario, identitario, profondamente politico e di costruzione di un’identità collettiva, qui e ora.
Ha parlato di tecnologia. Cultura e nuove forme di inclusione. Inclusione anche tecnologica. Come è cambiato il rapporto tra teatro e digitale nel vostro caso specifico?
Il Teatro crea relazioni: dovrebbe essere per sua natura inclusivo.
Ci piace pensare che sia prima di tutto un’esperienza di communitas per uscire dalla prigione dell’individuo e costruire l’identità, non in un dialogo narcisistico con se stessi all’interno di un’ottica competitiva, ma attraverso la relazione, nella differenza. Facciamo Teatro contemporaneo, il nostro sguardo è puntato sulle nuove generazioni, e poiché esse nascono nel presente, anche tecnologico, il loro punto di vista è per noi nutrimento per immaginare un futuro grazie alla loro visione del mondo. Dalle prime sperimentazioni del Teleracconto (la telecamera riprende piccoli oggetti animati dal narratore in tempo reale, il televisore li ritrasmette in diretta, come se fosse una potente lente di ingrandimento, ingigantendoli fino a dargli un senso estetico e narrativo altrimenti non percepibile, ndr) alle più recenti ricerche sensoriali dei Silent Play (progetto di performance multimediale che utilizza la tecnologia wireless applicata alla fruizione di drammaturgie itineranti o spettacoli interattivi, ndr), la tecnologia è sempre stata uno dei linguaggi da noi utilizzati. In questo preciso momento storico siamo stati stimolati ad accelerare il nostro processo di ricerca sui linguaggi attraverso un uso cosciente, attivo e partecipato della tecnologia, per generare degli spazi culturali ancora più inclusivi. Grazie a diverse collaborazioni, anche internazionali, siamo ora impegnati nella creazione di progetti culturali e drammaturgie basati su principi di design for all che, grazie alla tecnologia, rendono accessibile l’esperienza a quante più persone possibili, indipendentemente dalle loro abilità.
Durante questo periodo di isolamento abbiamo esplorato le potenzialità, e anche i limiti, delle piattaforme web e abbiamo creato opere digitali di forte interazione con i nostri pubblici.
La sfida per un Teatro totalmente inclusivo è aperta ed entusiasmante: immaginiamo un futuro in cui la cultura possa avere una fruizione multimodale che consenta di sovrapporre livelli di linguaggio per far fruire l’esperienza a tutti. Per questo i principi dell’inclusione saranno sempre più una priorità nelle nostre progettualità.
NICOLA NORO
Accanto a Sergio Meggiolan, giovedì primo aprile ci sarà Nicola Noro, LIS Performer e linguista clinico. Laureato in Linguistica per la sordità e i disturbi del linguaggio all’università Ca’ Foscari di Venezia, ha deciso di unire la passione per la musica e per la danza con la formazione, rendendo accessibili le canzoni attraverso le sue performance, interpretandole attraverso la LIS (lingua dei segni italiana) e i movimenti del corpo. È Performer LIS per RAI Radiotelevisione Italiana (presente anche a Sanremo 2020 e 2021) e per il Teatro La Fenice di Venezia. Due anni fa ha partecipato a Italia’s Got Talent arrivando in semifinale.
Nicola, in “CSV – Ci Si Vede in Rete” parleremo di cultura, un settore in sofferenza – e di cui lei è esponente – e di accessibilità. Questa pandemia come ha cambiato l’inclusione all’arte?
Durante i mesi del primo lockdown la sensibilità rispetto la sordità e la LIS si è ampliata di molto. Innanzitutto le comunicazioni ufficiali da parte, per esempio, del Presidente del Consiglio sono sempre state rese accessibili grazie alla presenza di un interprete. La maggiore visibilità data agli interpreti LIS e, di conseguenza, alla LIS e all’accessibilità stessa ha fatto in modo che altri si interrogassero su questi aspetti. Per esempio molti sindaci o altri rappresentanti politici pian piano si sono dotati di strumenti per l’accessibilità. Ritengo inoltre importante anche l’aumento nell’utilizzo delle nuove tecnologie sia in generale che nello specifico in ambito artistico. Molti artisti si sono visti costretti a casa e hanno cominciato a interrogarsi su come conciliare la propria arte con la situazione sanitaria e le regole che ne sono conseguite, dovendosi di fatto reinventare anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie. Questo aspetto, assieme alla maggiore visibilità ottenuta dalla LIS, ha contribuito alla diffusione di buone pratiche di accessibilità artistica. Alcuni artisti hanno cominciato a includere interpreti o, ancora meglio, performer durante le loro performance o i loro workshop rendendo, di fatto, la loro arte almeno in parte accessibile. A tutto ciò ho potuto assistere sia da osservatore esterno sia in prima persona, provandola sulla mia pelle. Molte delle mie attuali collaborazioni, ad esempio quella con il Teatro La Fenice di Venezia, sono nate proprio durante il periodo della pandemia. La stessa RAI ha aumentato i programmi sia “classici” che artistici accessibili in LIS. Sono comunque convinto, in ogni caso, che questo processo fosse in atto già da tempo e che la pandemia abbia solo contribuito a potenziarlo e velocizzarlo piuttosto che ad avviarlo in tutto e per tutto. Si tratta comunque di un’attenzione, del mondo artistico e dei media, molto recente. Basti pensare che il Festival di Sanremo è stato reso accessibile per la prima volta solo l’anno scorso, durante la sua settantesima edizione.
Concludo sottolineando che le esperienze di arte accessibile sono ancora troppo poche.
Sto facendo riferimento a piccoli esempi virtuosi, il cui numero è sicuramente aumentato durante la pandemia, ma si tratta comunque di un dato irrisorio rispetto alla vasta produzione artistica. Diciamo che il processo è stato avviato e sta pian piano prendendo piede, ma la strada da fare per rendere l’arte, ma non sono quella, accessibile è ancora moltissima.
Cultura e nuove forme di inclusione. Perché lei ha iniziato a utilizzare la LIS come linguaggio artistico?
Ci tengo a precisare che utilizzare la LIS come linguaggio artistico non è una mia intuizione. Mi spiego, la LIS è una lingua a tutti gli effetti e, come tutte le altre lingue del mondo, non è un mero strumento freddo di comunicazione, ma è espressione di una cultura e di una comunità. Le lingue dei segni, come le lingue orali, hanno svariate forme di espressioni artistiche, partendo dalla comune poesia fino a una delle tecniche che sono specifiche delle sole lingue segnate, quale il Visual Vernacular. Parte della sfera artistica delle lingue dei segni sono anche le interpretazioni della musica in LIS che si sono sviluppate nel corso del tempo e che negli ultimi anni stanno ottenendo sempre più visibilità. Io, essendo BODA (brother of deaf adult – fratello di persona non udente, ndr), ho sempre vissuto a stretto contatto con la cultura segnante e ne sono stato sicuramente affascinato e influenzato. Per quanto riguarda il perché io abbia deciso di contribuire attivamente a questo scenario, i motivi sono principalmente due: per gli altri e per me stesso. Dico per gli altri, perché voglio poter contribuire a rendere l’arte accessibile alle persone sorde, partendo dalle canzoni, ma pensando anche alle opere teatrali o ad altre forme artistiche canonicamente non accessibili. Utilizzando quindi il mio corpo, e le mie mani, come strumento per gli altri. Ma sarei ipocrita se non dicessi che la mia arte è in primo luogo per me. Perché esprimermi attraverso le performance LIS mi fa sentire bene, mi rende libero di giocare con il mio corpo e con una mia lingua, la LIS appunto. Parte di questo star bene deriva sicuramente dal creare ponti tra il mondo segnante e quello udente, ma un’altra parte deriva invece dal ragionare, creare e fare arte e, se vogliamo, all’esprimere me stesso attraverso la mia arte.