Il mese di giugno, nella nostra rubrica “Ci Si Vede in Rete”, è dedicato a due progetti che ci stanno particolarmente a cuore: la candidatura del volontariato come bene immateriale dell’umanità Unesco, e il Festival Biblico, un progetto ad impatto culturale e spirituale che sperimenta nuovi modi per rileggere la contemporaneità alla luce delle Sacre Scritture.
Il primo giugno, in particolare, ci focalizzeremo sulla prima delle due tematiche, assieme a due esponenti che la stanno vivendo da protagonisti: Emanuele Alecci, promotore e presidente di Padova Capitale Europea del Volontariato 2020, oggi responsabile della Consulta Provinciale Volontariato di Padova. Da sempre impegnato nel volontariato, è stato Presidente Nazionale del Movimento di Volontariato Italiano, responsabile dell’Osservatorio Nazionale del Volontariato della Presidenza del Consiglio, Consigliere del Cnel e Presidente del CSV di Padova e Rovigo, e Riccardo Bonacina, giornalista e conduttore televisivo italiano, direttore di Vita. Ha provato a raccontare l’Italia dei soggetti sociali in tutti i modi e ovunque, dal 1994 soprattutto con il settimanale sopracitato, dedicato interamente a chi fa volontariato.
EMANUELE ALECCI
Va rivista, secondo lei, la posizione di rilevanza del volontariato all’interno della società civile? Come è visto e considerato oggi e come dovrebbe essere visto e considerato in realtà?
Io credo che il volontariato sia percepito rilevante solo in certe occasioni. Per esempio, è stato chiaro a tutti – durante la pandemia – il ruolo del volontariato. Senza, sarebbe stato tutto molto più difficile. Noi dobbiamo il giusto posto a quei cittadini che decidono di impegnarsi gratuitamente a favore della comunità tutta. Per questo il volontariato deve avere il suo posto nella nostra società. Luogo di ascolto, indirizzo e programmazione.
Cosa vi ha spinto a presentare la candidatura del volontariato a bene immateriale dell’Umanità Unesco?
Il volontariato è un bene comune, un bene prezioso per la comunità che deve essere protetto e deve essere messo in condizione di far emergere il valore delle relazioni buone e della fraternità. Ecco spiegato il senso di questa candidatura. Non per ringraziarlo, non per prendersi un’altra medaglietta, ma per permettere al volontariato di fare quello che è la sua vera missione. Nuovo sviluppo, nuove relazioni, impegno per la giustizia e la solidarietà.
RICCARDO BONACINA
Nei vari articoli della stampa si legge che c’è la volontà di promuovere un volontariato gratuito e disinteressato. Qual è la “carta d’identità” del volontariato? Quali caratteri lo definiscono, secondo lei, oltre ai due precedentemente citati?
Il volontariato incarna la virtù più importante e più “economica” che ci sia: la gratuità. È sbagliato pensare che il volontariato incarni una dimensione residuale della vita, no, esso incarna l’unica dimensione capace di trasformare società ed economia in una modalità più umana, più vivibile, più per tutti. Gratuità non è qualcosa senza valore, ma nominare qualcosa che non ha prezzo, qualcosa che non puoi comprare ma che se non c’è non si dà neppure la fiducia, presupposto essenziale allo stesso mercato.
Oggi dovremmo imparare, per stare al mondo secondo una misura di profonda umanità, la capacità della gratitudine nei confronti di chi qualcosa fa perché ci sia una migliore qualità della vita. Quando c’è una messa in circolo della riconoscenza, c’è una messa in circolo di una moneta buona che costruisce comunità, perché consente che ci sia attenzione al bene comune. È tempo che la politica, imparando dal volontariato, recuperi il senso profondo della disponibilità nel prendersi a cuore la qualità della vita di tutti.
Il volontariato di domani deve poi necessariamente contribuire al recupero della sfera pubblica e assumere una funzione politica, intesa non solo come partecipazione al bene comune, ma anche come capacità di anticipare i problemi, di agire in prospettiva, di dare voce a chi non ne ha.
Il volontariato ha, infatti, gli strumenti e le possibilità per agire un’azione culturale e una funzione di advocacy. Il suo compito diventa quindi quello di non correre il rischio di farsi travolgere dall’emergenza, ma di percorrere la sfida culturale e politica, evidenziando le ingiustizie strutturali della nostra società. Il volontariato ha il compito, insieme alle istituzioni, di allestire spazi di responsabilità aperti a tutti perché si possano superare le diseguaglianze e i cittadini possano tornare a sentirsi parte attiva di una comunità coesa. La sfida è quella di riaccendere nei territori la “scintilla della passione per il possibile”, raccontando il futuro, il mondo che sarà possibile costruire e condividere così un sogno da perseguire insieme.
Scrive Bonhoffer: “Abbiamo imparato un po’ tardi che l’origine dell’azione non è il pensiero, ma la disponibilità alla responsabilità. Per voi pensare e agire entreranno in un nuovo rapporto. Voi penserete solo ciò di cui dovrete assumervi la responsabilità agendo”. Un esergo per il nostro essere volontari, per il nostro prenderci cura gli uni degli altri, uno stimolo per farci capire che non si può vivere per compartimenti stagni. Il volontariato deve trasformarsi in “fraternariato” e ricordarsi che prende vita dal riconoscimento del legame che unisce gli uomini e dalla responsabilità generata dal senso di comune umanità che spinge a mettersi in gioco.
Perché lei e VITA avete scelto di sostenere questa candidatura?
Mai come ora il volontariato è diventato un fattore essenziale e decisivo nelle nostre vite. In particolare per le persone più sole e più fragili. Prima la pandemia e il distanziamento sociale che, di fatto, ha isolato proprio le persone più vulnerabili, le fasce giovani e più anziane. Poi la guerra che impoverisce e scava ancor di più le diseguaglianze. Il volontariato, in questi anni, è stato un attore essenziale alla tenuta sociale e relazionale dei nostri territori e una leva irrinunciabile per il sostegno dei più fragili.
Senza il volontariato non si sarebbe potuto far fronte alle emergenze generate dalla pandemia e dal più grande spostamento forzato di popolazione dalla seconda guerra mondiale.
Senza le reti sociali animate da un volontariato esteso e da una cittadinanza attiva e consapevole non si potrà costruire quel cambiamento nelle priorità del nostro vivere civile così evocato e così evidentemente necessario per non farci trovare impreparati di fronte alle nuove domande sociali e per garantire la qualità della nostra democrazia sempre più bisognosa di un’educazione al bene comune.
Noi siamo quello di cui ci prendiamo cura e dobbiamo stare là dove la realtà ci chiede di stare, con questo senso di messa in circolo della gratitudine e della riconoscenza. Come se fosse una moneta, ma una moneta buona. Il grande filosofo francese Emmanuel Lévinas, che aveva conosciuto gli orrori del nazismo e dei lager, diceva che “l’appello che viene dal volto dell’altro è qualcosa che ci rende responsabili per l’altro ancora prima che lo decidiamo”. Inizialmente non mi sentivo d’accordo con questo ragionamento perché mi sembrava che togliesse la libertà. Ho cambiato idea ascoltando chi fa un lavoro di cura: se l’altro ha bisogno, si fa e basta. Là dove va il senso dell’essere, le cose sono semplici ed essenziali.
E questa dimensione e pratica deve essere riconosciuta come Bene e patrimonio dell’umanità e per l’umanità.