Terzultimo appuntamento di Ci Si Vede in Rete, quello di mercoledì 17 maggio, in onda dalle 18.30 nei canali social del CSV di Vicenza.
Il tema trattato è recuperato da un Festival che il CSV vuole promuovere nella sua città, il VISMI Festival, Vicenza Si Mischia. L’idea di fondo è quella idea di invitare a progettare insieme un happenig, un festival, festa o fiera (o in qualsiasi altro termine vogliamo chiamarlo) del volontariato della cultura che è così coraggioso e saldo da non aver paura di aprirsi, di mettersi in relazione, di mescolarsi, a volte anche di confondersi, insieme ad altri. Una cultura di radice che non si fa baluardo di una tradizione, ma che in nome di quella tradizione ricca e viva, sa accogliere anche il nuovo che questi tempi ci regalano.
Ne parliamo con due ospiti così diversi, ma così vicini in termini di percezione della relazione, dell’essere cambiamento, del mischiarsi: Anna Zago, attrice e regista, responsabile formativo di Theama Teatro, compagnia teatrale professionale di Vicenza e Lorenzo Biagi, docente di Antropologia filosofica, Etica e Pedagogia sociale all’Istituto Universitario Salesiano di Venezia-Mestre e Filosofia morale all’ISSR di Treviso-Vittorio Veneto.
ANNA ZAGO
Attrice e regista, responsabile formativo di Theama Teatro, compagnia teatrale professionale con sede a Vicenza di cui è co-fondatrice, è attualmente impegnata in numerosi produzioni e progetti di carattere formativo ed educativo. Anna rivendica un ruolo di artista all’interno di una comunità educante. Laureata in Architettura allo IUAV di Venezia, rimane forte l’influenza dei suoi studi che filtra anche attraverso i suoi lavori teatrali, incentrati sulla ricerca e l’uso di materiali alternativi sulla scena. Negli ultimi anni i suoi lavori di rivisitazione del mito, anche come drammaturga, trovano spazio nel Ciclo degli spettacoli classici del Teatro Olimpico. Ma la sua ricerca artistica indaga anche la relazione, ovvero quell’ovvio di cui nessuno si occupa, tramite un programma dedicato alla formazione che rimette al centro i legami tra le persone, nonché l’attenzione ad alcuni bisogni specifici dell’essere umano, a partire dall’ascolto delle sue radici e del suo essere donna. Il suo amore per le pratiche filosofiche di comunità emerge nella sua personale ricerca teatrale, attraverso un metodo di studio del pensiero sociale, che sfocia in ambito formativo, in quello che lei definisce moodboard teatrale.
Molti sono gli artisti con i quali ha intrecciato la sua poetica e la sua attività, e tutti hanno saputo regalarle nuovi approcci, nuovi stimoli e nuove competenze. La sua visione artistica si è arricchita della contaminazione di artisti provenienti dalle altre arti.
Anna e la cultura. Cultura è tanto, è tutto. Dimensioni molteplici e diverse. Tu come la interpreti e come la vivi? La frequenti? La fai? La senti? La produci? La “mischi”?
La cultura non è solo sapere, è un nodo complesso e variopinto, è un po’ come il nodo magico di Circe che Omero definisce Poichilos, e che racchiude in sé i tesori.
La cultura la vedo così: variopinta, perché include un po’ tutto, conoscenza, arte, morale… tutto ciò che determina la formazione dell’essere umano. E la formazione è continua, dura tutta la vita, perché noi ci trasformiamo continuamente, formiamo e sciogliamo nodi, l’incessante divenire dei nostri legami. Quindi per me non c’è cultura senza relazione con l’altro. È il dovere verso l’umano il senso profondo della cultura, per tentare insieme di ricostruire un filo di senso (e anche di non senso) delle cose, per elaborare un discorso critico del presente e di ciò che ci ha condotti al presente. E se anche partiamo da delle radici precise, l’incessante sequenza di nodi, che è la vita, ci porta a capire che non esistono confini alla cultura e alle relazioni.
Un festival del volontariato della cultura: come lo immagini? Chi sono gli “attori”? Chi i destinatari? Quali i luoghi da toccare? Quali i messaggi da trasmettere?
Il festival VISMI lo immagino pieno di colori, di voci, di testimonianze di ciò che siamo come esseri umani e di cosa possiamo fare insieme per raggiungere quell’humanitas, ovvero quell’empatia sociale, così difficile da raggiungere. Il desiderio di costruire reti e relazioni segue quindi questo bisogno: ritrovare l’empatia, capace di farsi scintilla di un rinnovamento. Ed è in questo desiderio che si inserisce il Festival VISMI.
LORENZO BIAGI
Vicedirettore e Docente di Antropologia filosofica, Etica e Pedagogia sociale all’Istituto Universitario Salesiano di Venezia-Mestre e Filosofia morale all’ISSR di Treviso-Vittorio Veneto. Svolge attività di formazione nel settore della cooperazione sociale e del volontariato. Il suo campo di ricerca è l’antropologia e il ripensamento del rapporto tra etica ed educazione nelle diverse età della vita. Svolge inoltre attività di ricerca e di formazione nell’ambito dell’antropologia e dell’etica dello Stato Sociale, sviluppando critiche e prospettive a confronto con le esperienze concrete delle professioni sociali.
Il giornalista Luciano Tavazza sosteneva che attraverso l’educazione alla solidarietà un Paese potrà essere in grado di maturare e di trasformarsi in una società sensibilizzata alla cura di sé, dell’altro e dell’ambiente. Quanto la cultura, in qualsiasi accezione la si consideri, è solidale?
È solidale quella cultura che umanizza. La cultura, antropologicamente parlando, è sorta progressivamente come fattore creativo per sopperire alla nostra incompiutezza, incompletezza. L’essere umano, a differenza di tutte le altre specie viventi, nasce incompleto: dal neonato all’anziano siamo sempre coinvolti in un processo di umanizzazione, cioè di costruzione della nostra umanità. Sia dal punto di vista fisico che mentale e spirituale. E questo è un processo sociale, collettivo. La nostra intelligenza è sociale. La nostra identità non ce la costruiamo guardandoci allo specchio, come oggi si tende a fare secondo la logica mortifera dell’individualismo e del narcisismo. Oggi siamo degli egosauri! Invece la nostra identità è dialogica, la si costruisce tramite il dialogo di riconoscimento, che vede anche contrasti, non violenti, s’intende. Cultura è quanto promuove l’umanizzazione e non la nostra disumanizzazione. Perché oggi purtroppo vi è in circolazione anche una cultura della disumanizzazione, del cinismo, del bastare a se stessi, anche a costo di fare del male agli altri e soprattutto ai più poveri ed emarginati. C’è in giro una mentalità che tende a criminalizzare e demonizzare i poveri, gli esclusi, i migranti: “È colpa loro, che se ne stiano a casa!”. Se uno è povero è colpa sua, non ha voglia di lavorare. E così via. Cultura deriva da coltivare e uomo deriva da terra (humus), terra buona da coltivare, quindi fare cultura oggi vuol dire coltivare l’umano, la nostra umanità. L’uomo non è mai un arrivato. Deve sempre coltivare la sua umanità e umanizzarsi. Cultura ha poi a che fare anche ‘culto’: praticare un culto dell’umanità, ossia promuovere e rispettare l’umano e combattere apertamente ogni forma e comportamento che non rispetta la vita non solo umana, ma anche di tutti gli altri esseri viventi, che anch’essi aiutano la nostra umanizzazione.
Vicenza Si Mischia è il titolo di un progetto che il CSV di Vicenza sta elaborando, perché sente sempre più l’esigenza di pensare a un qualcosa di condiviso da molte Aps che si occupano di cultura. Che immagini / sensazioni / profumi sorgono in lei all’idea di una città che si mischia (nelle culture, nelle generazioni, negli spazi…)?
Mischiarsi fa parte della nostra umanità. L’uomo è un essere meticcio fin dall’origine, come le scoperte genetiche ed antropologiche ci hanno dimostrato. Non esiste qualcosa come una razza pura, così come non è più scientificamente utilizzabile il concetto di razza! Non ci sono razze ma una sola specie-famiglia umana. Una famiglia che si è costruita ed è proliferata proprio grazie al fatto che fin da subito si è mischiata. L’umanità è bella perché è di tanti colori, tante pelli, tante intelligenze, tante spiritualità, tante forme di vita. Se c’è un universale antropologico davanti al quale tutti si inchinano è il fatto che la diversità garantisce e arricchisce l’umano. La chiusura è mortifera: stare sempre con gli stessi, sposarsi tra stessi, chiudersi tra stessi, conduce all’estinzione. È quasi una legge biologica. Nessuna cultura è un recinto chiuso. Ogni cultura è un recinto aperto: si va dentro e fuori dalla propria cultura. Ci si mischia e si rientra arricchiti nella propria cultura che in tal modo impara cose nuove, arricchisce la propria umanità con la diversità. Infatti è oggi incomprensibile tutta questa chiusura nella nostra tribù, nelle nostre tradizioni ritenute eterne e sempre identiche. Le tradizioni si evolvono ed arricchiscono grazie all’incontro con il diverso da noi. L’esperienza dell’altro non è quella di una barriera ma è la grande, sorprendente e a volte destabilizzante esperienza di un incontro. Mischiarsi non vuol dire perdersi, ma incontrarsi e fare umanità.