Benvenuti nella nostra Rubirca “Ci Si Vede in Rete”
Un bel gioco di parole, nato da un confronto costruttivo, per trovare il nome da assegnare a questo nuovo servizio: la rubrica on line del CSV di Vicenza “Ci Si Vede in Rete“.
Nei momenti di difficoltà, lo abbiamo detto e scritto molte volte, ciascuno esprime la propria fatica, si evidenziano gli ostacoli personali e di gruppo, emergono le ferite, le cose non risolte, il carattere che ci contraddistingue, l’operatività e i problemi, però la spinta che si genera può essere positiva, di sfida, di creatività. Anche noi, facendo tesoro dell’esperienza, dei percorsi obbligati, di quelli voluti e cercati, abbiamo messo in campo passione, amore, dedizione e speranza. Così abbiamo trovato nuove modalità per ri-allacciare i legami, per favorire il re-innesco dei circoli virtuosi disattivati, per un legame di cura. Già! Tutto passa per la cura, non soltanto sanitaria, ma anche sociale.
Ecco allora nascere l’esigenza di una nuova immagine, per gli incontri e i racconti on line, dove coinvolgere alcuni di voi insieme a tanti ospiti.
Ci siamo quindi, è nata la rubrica “Ci Si Vede in Rete” e presto riceverete tanti aggiornamenti, perchè a partire da febbraio avvieremo gli incontri e apriremo un blog dedicato, collegato al sito del CSV, e una sezione nella nostra newsletter.
Restate connessi!
Mario Palano, presidente
Maria Rita Dal Molin, direttore
MARA MOIOLI
“Una vita nel non profit. Così si può sintetizzare il Curriculum Vitae di Mara Moioli, COO e Cofounder di Italia non profit.
Con un’esperienza decennale nel Terzo Settore e nel mondo del volontariato, è responsabile dei prodotti e dei servizi della piattaforma. La Laurea Magistrale in Scienze Economiche e il Master in Management degli enti non profit, imprese sociali e cooperative alla SDA Bocconi – School of Management confermano le competenze e la passione per il sociale. In passato è stata senior consultant per il non profit e per progetti di rete con le imprese e direttore operativo di e-commerce.
Ma cos’è Italia non profit?
È la più grande piattaforma e community digitale dedicata al non profit in Italia. Divenuta il punto d’incontro e di riferimento per enti, operatori del settore, aziende, fondazioni e cittadini in cerca di informazioni sul non profit, la piattaforma è navigata e utilizzata ogni giorno da migliaia di utenti in cerca di servizi di utilità sociale e da operatori del Settore in cerca di partner e opportunità di business.
La piattaforma offre una suite di prodotti e servizi di orientamento per la filantropia istituzionale capace di rendere più efficace l’incontro fra domanda e offerta di investimenti sociali e donazioni. Lavora al fianco degli enti non profit, con aziende e fondazioni per attirare sempre più risorse e innovazione nel Settore che più di tutti ha il potere di costruire la qualità del domani. Supporta i progetti sociali e gli interventi donativi in quanto segnali di futuro, e lo fa attraverso spazi e progetti aperti al contributo di tutti, come il Non Profit Philanthropy Social Good Covid-19 Report 2020 a cui dedichiamo la chiacchierata di lunedì 15 febbraio sulla pagina Fb e il canale YouTube del CSV di Vicenza.
Mara, in “CSV – Ci Si Vede… in rete” parleremo proprio del Report sopracitato. In sintesi, quali bisogni degli enti non profit sono emersi durante l’emergenza sanitaria?
La pandemia Covid-19 ha portato con sé tanto un’emergenza sanitaria quanto una crisi economica unica nel suo genere. Il mondo del non profit ne è stato coinvolto non solo perché vi è stata una contrattura delle risorse, ma anche in quanto soggetto spesso chiamato in causa nella fornitura di servizi essenziali per il Sistema Paese.
All’interno del Non Profit Philanthropy Social Good Covid-19 Report 2020 raccontiamo quelli che sono i bisogni, i desiderata, i percepiti degli enti, quali visioni di futuro hanno insieme alla filantropia. L’Indagine Nazionale ha interessato 1378 rispondenti tra Associazioni, Fondazioni, Comitati, Imprese Sociale, Cooperative sociali, APS, ODV, ONG da tutta Italia, desiderosi di far conoscere lo stato in cui versa e opera il Non Profit italiano.
Durante il primo lockdown, il 78% degli enti (che hanno partecipato alla survey) ha dichiarato di aver fermato o dimezzato la propria attività. Ne è conseguita un’aspettativa di entrate drasticamente ridotte (il 41% dichiara di avere entrate più che dimezzate rispetto all’anno precedente e il 38% entrate ridotte in maniera significativa) non riequilibrata da una corrispettiva riduzione delle spese sostenute quotidianamente dagli enti (costi del personale, delle utenze, affitti, raccolte fondi annullate, ricerca e sviluppo, investimenti digitali).
In sintesi, i bisogni espressi possono essere ricondotti a queste tre categorie:
la sostenibilità economica: il distanziamento sociale ha drasticamente ridotto le occasioni di incontro con i sostenitori (annullamento di eventi aperti al pubblico, sospensione di raccolta fondi a contatto con il pubblico), ma anche le voci legate alle progettazioni con aziende o la chiusura di servizi accreditati o convenzionati hanno causato perdite ingenti che hanno gravato sugli enti;
la riorganizzazione interna: anche il Terzo Settore è stato coinvolto dalla necessità di ripensare la gestione del personale e dei processi organizzativi. Il 27,9% degli enti ha dichiarato di aver attivato lo smart working, il 23,5% videoconferenze e FAD, il 19% contenuti digitali per l’attività dell’ente. Il 54,2% degli enti ha però risposto di non essere in grado di autofinanziare il processo di trasformazione;
i nuovi investimenti: alcune attività degli enti si sono dovute bloccare e per continuare ad operare le organizzazioni hanno espresso la necessità di ottenere nuovi fondi, formazione specifica per la gestione di pandemie e supporto nell’utilizzo di strumenti digitali. Il Covid-19 ci ha insegnato a non programmare a lungo termine, ma provare a vedere in là da un senso di speranza. Quindi, le chiedo: quando l’emergenza sarà rientrata, quali strade si aprono per gli enti non profit, dopo un evidente periodo di stallo?
In questo momento di crisi la solidarietà non si è fermata e nemmeno i meccanismi adattivi che il non profit da sempre mette in atto per poter operare al passo con le necessità che vengono espresse dalla società.
Le grandiose competenze che gli enti hanno al loro interno sono spesso state rilette e riadattate a quelle che sono le nuove richieste. La knowledge “proprietaria” degli enti ha un grandissimo valore disponibile al contesto e non sono rari i casi in cui Pubbliche Amministrazioni o aziende profit hanno richiesto agli enti supporto nella gestione dell’emergenza: non solo per l’erogazione di servizi, ma anche per la gestione dei fondi raccolti e per la supervisione nel loro utilizzo.
Ciò significa anche che sono cambiati i piani strategici delle organizzazioni, è cambiato l’approccio alla relazione con gli stakeholder, e sono cambiati gli obiettivi. Questo periodo può essere letto sicuramente come un momento di stallo per alcuni progetti o per le modalità consolidate di raccolta fondi e di gestione della relazione con i donatori, ma è anche un momento in cui si ridefiniscono i rapporti con gli utenti, con la causa stessa, con i territori: il Terzo Settore è un campo in cui la resilienza potenzia la capacità di esprimere gli aspetti virtuosi intrinsechi e li mette a fattor comune di tutta la società.
“Non tutto il male vien per nuocere”, si suol dire. Cosa vi ha insegnato, allora, “di buono” questo anomalo periodo?
Siamo convinti che il prossimo anno sarà cruciale per definire quale ruolo giocherà il Terzo Settore nella complicata fase di ritorno alla normalità. Quello che auspichiamo noi, e che stiamo lottando per vedere realizzato, è la coesione del Settore per uno sviluppo sostenibile, per un tessuto sociale forte e resiliente, per un Paese che non lascia indietro nessuno.
LORELLA MOLTENI
Sociologa… recidiva, in quanto laureata a Trento nel 2002 e un dottorato a Bologna nel 2011. Così si descrive Lorella Molteni, la seconda ospite dell’appuntamento numero 2 con CSV – Ci Si Vede in rete di lunedì 15 febbraio. “Ho avuto una vita molto frammentata – racconta -: nel 2014 contavo già più di 60 incarichi. Ma è una vita che finora è stata molto stimolante, perché mi ha permesso di imparare cose sempre nuove”.
Fa progettazione e ricerca, soprattutto nel sociale, e nell’ultimo periodo anche monitoraggio e valutazione di progetti e politiche pubbliche.
Ha lavorato (e continuo tuttora) per università, istituti di ricerca, società private ed enti non profit, tra cui il CSV, per il quale ha seguito un progetto per l’invecchiamento attivo ed elaborato i dati delle due indagini realizzate in periodo Covid.
“Posso dire di essere felice del percorso che ho fatto e continuo a fare – prosegue Lorella -, proprio perché mi tiene la “testa sempre attiva”, anche se ci sono periodi in cui il carico di lavoro è cosi elevato da suggerirmi una professione più light”.
Lorella, anche Vicenza è stata coinvolta nel Non Profit Philanthropy Social Good Covid-19 Report 2020 e lei si è occupata dell’elaborazione dei dati. Che cosa è emerso nello specifico?
Le indagini sono due: una realizzata dal Csv di Vicenza, l’altra di Italia Non Profit che ha concesso a Volontariato in Rete i dati relativi alla provincia di Vicenza.
Trattandosi di questionari online, da un punto di vista strettamente statistico non possiamo generalizzare i risultati ottenuti al dalTerzo Settore Vicentino in quanto, nonostante la risposta sia stata buona, siamo intorno a circa il 14-20% di rispondenti su tutte le organizzazioni di varia natura che operano sul territorio. Abbiamo però, in entrambe le indagini, uno spaccato di quella che è la realtà più diffusa, almeno in provincia e soprattutto nelle zone di valle e montane, ovvero quella rappresentata da associazioni di piccole o piccolissime dimensioni, con pochi volontari e nessuno o pochi dipendenti e che vivono esclusivamente con le quote associative e qualche donazione, avendo quindi a disposizione un massimo di 10-20 mila euro l’anno. Le associazioni che hanno risposto al questionario operano prevalentemente nell’ambito dell’assistenza sociale, socio-sanitaria e sanitaria e della protezione civile; nell’indagine di Italia non Profit abbiamo anche una quota rilevante di associazioni che operano nell’ambito dello sport, ricreazione e tempo libero, e in generale della promozione della salute e della tutela dei diritti.
Siamo quindi in presenza di un gruppo particolare di organizzazioni in cui le finalità solidaristiche, il valore del dono e lo spirito del volontariato “puro” svincolato dalle logiche economiche prevalgono su qualsiasi analisi dell’impatto finanziario della crisi attraversata. Per rappresentare questo concetto si possono citare i significativi commenti finali lasciati da due organizzazioni:
«Mai così tanti devono a così pochi… Parafrasando Churchill, rivolgo questa frase al mondo volontario, sanitario e di tutti coloro che anche a rischio della vita hanno “dato”»
«Siamo volontari puri. Abbiamo sempre fatto affidamento su noi stessi. Questo, in fin dei conti, ci basta. Ma non guasterebbe un occhio equo della filantropia anche per piccole associazioni che danno molto con poco».
Questa precisazione è fondamentale per una lettura critica dei risultati che sono stati ottenuti, in quanto l’indagine di Italia Non Profit ha inteso valutare quale sia stato l’impatto reale dell’emergenza sanitaria sulle organizzazioni del Terzo Settore e, a fronte della mappatura dei bisogni, comprendere se e in che modo la filantropia può fornire un apporto concreto. Quali sono stati quindi i bisogni di questo particolare gruppo di organizzazioni durante e dopo la prima fase di emergenza sanitaria?
Una buona parte di queste organizzazioni ha fatto fronte alla situazione emergenziale facendosi carico di servizi straordinari – quindi, anche non strettamente legati a quella che è la mission dell’organizzazione; in misura minore, è stata invece costretta a subire le conseguenze della sospensione di una o più attività legate alle misure urgenti di contenimento messe in atto dallo Stato e dalle Regioni.
L’aspetto che voglio sottolineare è che, in entrambi i casi, lungo tutto il questionario corre la considerazione che l’impatto maggiore della crisi sanitaria non è stato di tipo finanziario, ma si deve riferire soprattutto all’impossibilità di svolgere – o all’obbligo di ridurre – quelle attività statutarie che costituiscono la linfa vitale dell’organizzazione e che ne motivano l’esistenza.
A nostro modo di vedere, ciò vuole soprattutto significare che le organizzazioni percepiscono come più pesanti gli impatti che la crisi ha determinato sulla propria utenza e sulla comunità, venendo meno la possibilità di continuare a fornire il proprio apporto, per quanto limitato possa sembrare.
Si parla tanto – e anche il questionario lo ha affrontato – delle potenzialità connesse all’uso delle nuove tecnologie: gran parte delle organizzazioni, seppure abbia tentato di erogare alcuni servizi con videochiamate o whatsapp, non si dimostra propensa a riorientarsi verso un utilizzo stabile di questi mezzi di comunicazione perché svolge attività in cui la presenza, la vicinanza fisica e la relazione è fondamentale.
E veniamo al secondo risultato importante che sottolineo: ovvero, che le risposte ai questionari, soprattutto quelle aperte in cui le associazioni potevano avanzare commenti e suggerimenti, ci mostrano che, fatte salve le limitazioni di cui abbiamo parlato relative al senso di impotenza per non poter procedere con la realizzazione delle proprie attività, i problemi vengono da lontano. Tutti i commenti vanno nella direzione di sottolineare il cattivo funzionamento di un sistema che poco si adatta alle piccole realtà di volontariato. In diversi casi si parla dei lacci che la normativa mette alle organizzazioni: regole non chiare, procedure e richieste onerose per ottenere finanziamenti, incapacità di gestire e coordinare il lavoro di rete delle associazioni… L’emergenza sanitaria, soprattutto all’inizio, si è caratterizzata per una scarsa chiarezza su cosa si poteva e non si poteva fare. Abbiamo qualche giustificazione “emotiva” di come sono andate le cose in quel periodo… Emotiva, nel senso che nessuno di noi, nemmeno chi ci governa, poteva avere l’idea che le cose sarebbero degenerate così rapidamente. Ma questa giustificazione tiene fino a un certo punto, perché in Italia manca completamente una cultura sia della prevenzione che della progettazione, in tutti i settori, e questa lacuna è venuta fuori in maniera evidente nel momento di crisi. Una crisi che, comunque, il Terzo Settore ha contribuito a contenere.
Serviva una pandemia per farci aprire gli occhi sull’importanza del volontariato?
Mi viene da chiedere “Chi doveva aprire gli occhi sull’importanza del Terzo Settore?”. Il Terzo Settore (e all’interno di questo i volontari), ha sempre avuto un ruolo cruciale nella nostra società, o quantomeno ha iniziato ad averlo ad un certo punto, quando è stato chiaro che il sistema di welfare tradizionale stava fallendo nel suo scopo di rispondere in modo adeguato ai bisogni dei cittadini e di garantire alcuni diritti essenziali. Dal mio punto di vista, i cittadini o le comunità – soprattutto nei Comuni molto piccoli che caratterizzano gran parte del territorio italiano – hanno sempre percepito l’importanza del Terzo Settore in quanto solo nell’associazionismo hanno potuto trovare una risposta ai loro bisogni, che non sono solo materiali, ma anche di relazione. La pandemia, a mio avviso, ha semplicemente contribuito a ribadire con più forza questo sentimento, soprattutto nel periodo del lockdown, dell’isolamento forzato.
Se la domanda intendeva chiedere “I nostri politici, le istituzioni, i nostri amministratori, dovevano aspettare la pandemia per accorgersi del volontariato?”, la risposta è più complessa, perché un conto è l’essere consapevoli del ruolo cruciale del Terzo Settore, un altro conto è adeguare la macchina amministrativa e le procedure in maniera da renderle più idonee a favorire l’azione del Terzo Settore. Il Terzo Settore vive quotidianamente i problemi e istantaneamente pensa alla soluzione; dall’altra parte, le regole, la normativa, le relazioni con le istituzioni sono così lente da non riuscire a stare al passo con questa realtà, e questo determina nelle associazioni una stanchezza enorme nel doversi muovere entro un sistema di regole incomprensibile e poco efficiente.
Un futuro migliore, per il terzo settore, è possibile?
Ce lo dobbiamo augurare…e dobbiamo tutti contribuire a sensibilizzare le istituzioni affinché le cose cambino. Con la riforma del Terzo Settore, del 2016 e tutt’ora in corso, c’è stato un timido tentativo di farlo, ma a distanza di diversi anni stiamo ancora aspettando la costituzione del registro degli enti del terzo settore, che rappresentava uno dei cardini della riforma.
Il problema non può essere affrontato seduti a tavolino. È necessario ascoltare quanto le organizzazioni hanno da dire, le proposte che portano avanti e i bisogni che manifestano per poter lavorare in tutta serenità. Questo ascolto finora è stato carente, o quantomeno, come in altri casi, viene dato ai grandi, trascurando tutta una fetta di organizzazioni che sta davvero dando molto alle comunità. L’Italia è un paese eccezionale perché capace di dimostrare una solidarietà e una vicinanza fuori dal comune, e le tantissime realtà organizzative che operano sul territorio ce lo dimostrano quotidianamente. Valorizziamo quindi questa ricchezza e cerchiamo di creare le condizioni affinché anche le piccole organizzazioni possano operare in tutta tranquillità, con sufficienti risorse: il resto, il futuro migliore, saranno loro a garantircelo, come han sempre saputo fare.