2023 Eventi

Decimo incontro – Mercoledì 21 giugno – Welfare di prossimità, Welfare generativo

Anche l’edizione numero tre di Ci Si Vede in Rete giunge a termine. E lo fa parlando di “benessere”, di quel sistema sociale che vuole garantire a tutti i cittadini la fruizione dei servizi sociali ritenuti indispensabili. In particolare, quello che si vuole andare a sondare mercoledì 21 giugno, alle 18.30, sui canali social del CSV di Vicenza sono un Welfare di prossimità, un Welfare generativo, un Secondo Welfare. Cosa significano? Come si intendono? A parlarcene Devis Geron, ricercatore presso Fondazione Emanuela Zancan, dove si occupa – tra gli altri – di ricerca, quantitativa e qualitativa, nell’area “Welfare e valutazioni di sistema”, e Franca Maino, che dirige il Laboratorio Percorsi di secondo welfare ed è Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano.


Devis GeronDEVIS GERON

Una laurea in Economia e Commercio e un dottorato di ricerca in Economia e Management presso l’Università di Padova, Devis Geron dal 2012 è ricercatore presso Fondazione Emanuela Zancan Onlus, dove si occupa in particolare di ricerca, quantitativa e qualitativa, nell’area “Welfare e valutazioni di sistema”; analisi (di efficienza e di efficacia) sugli effetti delle politiche sociali adottate a vari livelli – in particolare, è esperto in strumenti e politiche di contrasto alla povertà; approfondimento del tema del welfare generativo e valutazione di impatto sociale generativo – in quest’ambito cura il sito web della Fondazione dedicato al tema del welfare generativo. Partecipa al gruppo di ricerca per la redazione del Rapporto annuale sulla lotta alla povertà della Fondazione Zancan, e collabora alla redazione della rivista online “Studi Zancan”.

Partiamo dalla base: cosa si intende per welfare generativo e come lo attua la Fondazione Zancan?

Il nostro sistema di welfare si è tradizionalmente fondato sul ruolo predominante delle istituzioni (e secondariamente di enti del privato sociale) nel “raccogliere” e “redistribuire” i proventi della solidarietà fiscale (e della raccolta fondi privata) a fronte di diritti individuali dei beneficiari a ricevere prestazioni sociali, erogate in gran parte sotto forma di trasferimenti monetari. Nel 2021 la spesa complessiva per la protezione sociale in Italia ammontava a 559 miliardi di euro, in gran parte spesa pubblica (528 miliardi di euro) di cui 84 miliardi dedicati alla spesa per assistenza (Fonte: elaborazione Fondazione E. Zancan su dati Istat e Inps), come approfondito nel Rapporto 2023 sulla lotta alla povertà della Fondazione Zancan, di prossima uscita (Fondazione Zancan, 2023). Questo sistema, nel tempo, ha contribuito a sostenere persone e famiglie a fronte di differenti condizioni di bisogno (ad esempio anziani, persone con disabilità, …). Ma non è più sufficiente perché i risultati sono deficitari, in particolare considerando la spesa assistenziale: negli ultimi anni i trasferimenti sociali (escluse le pensioni) nel nostro Paese hanno presentato una capacità di ridurre la quota di popolazione a rischio di povertà sistematicamente inferiore alla corrispondente capacità registrata negli altri principali Paesi dell’UE (Fondazione Zancan, 2023). È un sistema che si caratterizza quindi per una spesa gestita a costo, cioè a consumo di risorse, con una ridotta efficacia complessiva nel ridurre povertà e disuguaglianze nel medio‐lungo periodo. Ciò ha determinato il venir meno della fiducia nelle persone e nelle istituzioni, e la crescita delle spinte a ridurre il welfare, anche dubitando della sua sostenibilità. Occorre quindi cambiare passo, in direzione di una spesa di welfare gestita a investimento con maggiori rendimenti sociali ed economici, capace di costruire un futuro più solidale. È quanto propone la prospettiva del welfare generativo, avanzata da Fondazione Zancan a partire dal 2012. Nell’ottica generativa, occorre aggiungere altre 3 componenti strategiche, ossia altre “3 R”, alle “2 R” di partenza (“raccogliere” e “redistribuire”): l’obiettivo è “rigenerare” le risorse (non consumarle completamente, ma fare in modo che a loro volta producano qualcosa), facendole “rendere” (ossia producendo benefici, sociali ed economici, maggiori dei costi), grazie alla “responsabilizzazione” dei beneficiari aiutati («non posso aiutarti senza di te») resa possibile da un modo nuovo di intendere i diritti sociali – ciò che il beneficiario riceve non è solo per lui/lei, ma anche per altri che dopo di lui/lei potranno averne bisogno (Fondazione Zancan, 2012, 2013, 2014, 2015; Vecchiato 2012, 2013; Bezze e Vecchiato, 2012). In questo quadro, la componente dominante è rappresentata dalle persone: da un lato, le persone/famiglie beneficiarie di aiuti di welfare, chiamate a concorrere su base volontaria al bene comune realizzando “azioni generative” che producono benefici sia per i beneficiari stessi che per la comunità più estesa; dall’altro lato, i professionisti/operatori dei servizi di area sociale, chiamati a svolgere un ruolo di accompagnamento degli aiutati, valorizzandone competenze e capacità (Fondazione Zancan, 2017, 2018; Vecchiato, 2022; Neve, 2017). L’approfondimento del tema del welfare generativo da parte di Fondazione Zancan ha seguito tre strade principali. In primo luogo, analizzando le premesse e basi teoriche dei fondamenti del welfare generativo (es. Fondazione Zancan, 2012; Vecchiato, 2016). In secondo luogo, realizzando ricerche e studi che hanno raccolto “sul campo” testimonianze di persone/famiglie e operatori sociali in merito a modalità più efficaci per aiutare persone e famiglie in disagio, anche valorizzandone capacità e competenze (es. Canali, Geron e Vecchiato, 2015; Fondazione Zancan, 2016). In terzo luogo, promuovendo e realizzando percorsi di accompagnamento, monitoraggio e valutazione di esperienze di “pratiche generative” concretamente attuate in diversi contesti, quali enti locali e realtà del non profit (es. Bezze e Geron, 2016; Bezze e Innocenti, 2016).

Nel terzo incontro di Ci Si Vede in Rete abbiamo parlato dei nuovi vulnerabili. Il welfare generativo come si inserisce in questo nuovo contesto?

La prospettiva del welfare generativo mira a valorizzare le capacità e competenze di persone e famiglie, anche se in condizione di difficoltà e disagio. Come evidenziato in ricerche e analisi di concrete esperienze di welfare generativo, la responsabilizzazione delle persone aiutate (tra i pilastri della proposta del welfare generativo) rappresenta un fattore chiave per produrre un doppio esito: da un lato in termini di outcome, cioè esito per la persona (e famiglia) aiutata, in termini di sviluppo di relazioni, fiducia in se stessi, capacità, …; dall’altro lato in termini di impatto sociale, cioè esito per la comunità intera che beneficia di quanto realizzato dalle persone aiutate, a vantaggio di tutti. L’adozione di una prospettiva di welfare generativo, inoltre, presuppone e favorisce un maggior investimento in servizi di welfare, superando l’attuale predominanza delle erogazioni monetarie, in una logica di promozione, sviluppo e (ri)attivazione del “capitale umano” e del “capitale sociale” della comunità. In ragione di queste caratteristiche, la prospettiva del welfare generativo può consentire anche ai “nuovi vulnerabili” nella società di riscoprire/riconoscere e valorizzare le proprie capacità e competenze (sottovalutate nei momenti, anche temporanei, di difficoltà o crisi) e di rimettersi in gioco sentendosi utili per sé e per la collettività, rafforzando la propria rete di relazioni personali e (potenzialmente) lavorative, inserendosi in contesti di nuove opportunità di “ripartenza”. Anche per le persone e famiglie che sperimentano (vecchie e) nuove forme di vulnerabilità, il welfare generativo rappresenta quindi un modo per orientare la spesa sociale in ottica di investimento con maggiori rendimenti sociali ed economici di medio‐lungo termine. Negli anni Fondazione Zancan ha raccolto e pubblicato i risultati di valutazioni di esito generativo e di impatto sociale che evidenziano le potenzialità dell’approccio proposto.


Franca Maino

FRANCA MAINO

Franca Maino dirige il Laboratorio Percorsi di secondo welfare ed è Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna “Politiche Sociali e del Lavoro”, “Politiche Sanitarie e Socio-sanitarie”, “The Welfare State and Social Innovation”. È membro del Comitato di redazione di Stato e Mercato e della Rivista Italiana di Politiche Pubbliche (RIPP). Fa parte del Comitato scientifico dell’Alleanza contro la Povertà, della Fondazione Welfare Ambrosiano, di Assoprevidenza e della Fondazione PICO. Da luglio 2020 fa parte del CdA dell’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo. Ha curato – con Maurizio Ferrera – i primi quattro Rapporti biennali sul secondo welfare in Italia. Ha scritto con Chiara Lodi Rizzini e Lorenzo Bandera il volume “Povertà alimentare in Italia: le risposte del secondo welfare” (il Mulino, 2016) e con Federico Razetti il volume “Fare rete per fare welfare. Dalle aziende ai territori: strumenti, attori, processi” (Giappichelli, 2019). Nel 2021 ha curato con Francesco Longo “Platform welfare. Nuove logiche per innovare i servizi locali” (Egea) e “Il ritorno delle Stato sociale? Mercato, Terzo Settore e comunità oltre la pandemia. Quinto Rapporto sul secondo welfare” (Giappichelli).

Con l’altro attore dell’appuntamento in questione – Devis Geron – parliamo di welfare generativo. Con lei di secondo welfare. Cosa si intende con questa espressione?

Il termine “secondo welfare”, ormai entrato nel vocabolario comune di chi si occupa di politiche sociali, comprende tutte quelle forme di protezione e investimento sociale – non direttamente o non esclusivamente sostenute dal Pubblico attraverso il welfare state – realizzate da attori privati, parti sociali ed Enti del Terzo Settore. Si tratta di stakeholder che intervengono a vario titolo per contribuire a fornire soluzioni e risposte ai rischi e ai bisogni sociali emergenti (oggi acuiti dalla crisi climatica e dalla transizione digitale), mobilitando anche risorse non pubbliche. L’elemento distintivo è il ruolo che soggetti non pubblici (profit e non profit) – soprattutto considerati collettivamente – possono svolgere, collaborando con le istituzioni pubbliche (in particolare a livello locale) e all’interno di reti multiattore, nel processo di rinnovamento del sistema di welfare italiano.
Quello riconducibile al secondo welfare è un quadro concettuale volutamente ampio e inclusivo, pensato per tenere insieme la complessità dei cambiamenti che investono settori, funzioni e territori in risposta alle molteplici transizioni in corso, da quella demografica a quella riguardante la struttura familiare, da quella ecologica alla transizione digitale. A questa cornice è possibile riportare le molte definizioni utilizzate per inquadrare alcune delle principali articolazioni del welfare: sussidiario, aziendale, contrattuale, integrativo, mutualistico, comunitario, di prossimità, generativo. Tre sono i tratti distintivi del secondo welfare: il coinvolgimento di attori non pubblici e la ridefinizione del loro ruolo all’interno dell’arena del welfare; l’innovazione sociale di prodotto e di processo; l’empowerment. L’apertura del welfare ad attori non pubblici corrisponde all’evidenza che siano sempre più numerosi gli attori di Mercato e del Terzo Settore che si affiancano a quelli pubblici, con i quali, specialmente a livello locale, avviano collaborazioni per intervenire nelle aree di bisogno meno tutelate dal welfare state.

Franca, dal suo punto di vista, come si sente di raccontare un’eventuale trasformazione del welfare? C’è stata? Si sta attuando?

Il welfare locale nella sua evoluzione più recente si è dimostrato un campo in cui si sono sperimentate e, in un numero crescente di casi anche consolidate, esperienze di secondo welfare, frutto di collaborazioni tra attori diversi e di condivisione di risorse differenti. Prima la crisi del 2008 e poi l’emergenza pandemica hanno determinato una pressione senza precedenti che ha rivelato tanto l’enorme potenziale d’innovazione e riconfigurazione organizzativa a cui possono accedere le amministrazioni pubbliche e le comunità locali, quanto i limiti e l’insostenibilità dell’assetto di welfare tradizionale. È noto che i sistemi di welfare locale sono spesso caratterizzati da una grande distanza tra i nuovi bisogni e le risorse pubbliche disponibili e si occupano prevalentemente degli stessi target da almeno tre decenni; sono invece deboli o assenti nelle nuove emergenze sociali e nella prevenzione. Prevalgono logiche di servizio per categorie di prestazioni e target omogenei, in un sistema pubblico largamente basato su trasferimenti monetari alle famiglie e non su servizi in funzione dei bisogni. Sistemi che hanno progressivamente abbandonato la produzione diretta di servizi, contrattualizzando soggetti privati con logiche di finanziamento legate agli input e non ai risultati, contribuendo alla diffusione di un ampio mercato informale della cura, più vasto di quello formale.
La portata di entrambe le crisi sembra aver “imposto” agli attori territoriali, pubblici e non, di modificare il proprio approccio tradizionale al welfare per affrontare nel modo più efficace possibile i cambiamenti in atto. Attualmente gli enti locali si trovano nella posizione ideale per assumere un ruolo centrale nella promozione di partnership pubblico-privato mirate al ripensamento del welfare giocando il ruolo di facilitatori dell’innovazione e insieme di garante dei diritti sociali, esistenti ed emergenti. In quest’ottica le partnership locali tra attori pubblici e privati si sono dimostrate una strada promettente, oltre che appropriata, per fornire risposte alle domande non adeguatamente coperte dall’offerta standard di servizi sociali e/o per individuare nuovi modelli di regolazione e produzione di beni pubblici, in grado di fronteggiare meglio i problemi legati all’implementazione delle politiche. Possono inoltre essere il canale per incentivare l’inclusione e la partecipazione di una pluralità di attori anche nella fase progettuale, in modo tale da prevenire potenziali conflitti e veti, raggiungendo così il più ampio consenso possibile anche nella successiva fase di attuazione. E possono, infine, porre l’accento sulla volontà di conciliare interessi e visioni differenti per trovare soluzioni che favoriscano l’aggregazione della domanda.
Il sito web www.secondowelfare.it documenta da oltre un decennio i cambiamenti in corso che riguardano il welfare aziendale, coinvolgono le fondazioni e gli enti filantropici e hanno fatto emergere forme di welfare di prossimità che vedono gli enti del terzo settore protagonisti di un rinnovato rapporto con le istituzioni pubbliche locali facendo sempre più ricorso alla co-progettazione degli interventi.

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