2023 Eventi

Quarto incontro – mercoledì 15 marzo – Parità e pari opportunità in ambito occupazionale

Tra i “nuovi vulnerabili”, focus dello scorso incontro in cui abbiamo coinvolto il Direttore di Caritas Diocesana Vicentina, don Enrico Pajarin, e lo Psicosociologo Gino Mazzoli, è emersa la categoria delle donne, da sempre – purtroppo – “destinatarie” di una qualche forma di esclusione. È proprio su di loro che concentriamo l’attenzione del quarto incontro di Ci Si Vede in Rete, quello che mercoledì 15 marzo porterà sugli schermi social del CSV di Vicenza Francesca Lazzari e Alessandra Cecconello, rispettivamente Consigliera di Parità della provincia di Vicenza e Presidente di Alinsieme cooperativa sociale, per parlare di Parità e pari opportunità in ambito occupazionale.


Francesca LazzariFRANCESCA LAZZARI

Francesca Lazzari, formatrice e consulente, ha un PhD in Scienze della Cognizione e della Formazione e un Master in Ricerca, Didattica e Counseling formativo. È laureata in Scienze Politiche ed economiche e, grazie a un Borsa di ricerca internazionale, ha approfondito il sistema formativo delle discipline giuridico-economiche e sociali.

Attualmente si occupa di progetti e idee in campo economico e sociale, in gender equity studies, in economia della cultura e della conoscenza, in campo formativo, pedagogico e interculturale, con un approccio integrato pluridisciplinare (pedagogico, sociale ed economico).

Dal 22 dicembre 2020 ricopre il ruolo di Consigliera di Parità per la Provincia di Vicenza nominata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro delle Pari Opportunità con D.M. n.154.

Madri lavoratrici, alias le equilibriste.
Francesca, ci può dare una panoramica sull’aspetto locale? Ha dei dati aggiornati al 2021/2022 su, ad esempio, le dimissioni di donne entro il primo anno di vita del bambino, ma anche su altri parametri?

I dati elaborati del 2022 saranno disponibili a fine marzo, ma il trend dall’anno precedente, il 2021, non è mutato, anzi, la crisi economica e inflattiva in atto sta dando segnali preoccupanti sul fronte dell’occupazione, soprattutto quella stabile e di qualità. Nel 2021 a Vicenza:

  • Tasso di natalità in calo: 1,17 (media tempo di cura extra lavoro: donne 3h 18 min al g.; uomini 1h 21 min).
  • Femminicidi nel 2021: 3 a Vicenza (5 in Veneto), nel 2022: 2 a Vicenza.
  • Il 75% dei nuovi contratti di lavoro sono a termine o di somministrazione.
  • Il 60 % circa del totale dei contratti deboli sono di donne.
  • Gap salariale : -32% circa.

Le Dimissioni volontarie nel 2021 entro il primo anno di vita del figlio sono state 2110 (94% del tot. per esigenze conciliative, di cui 90% donne). Evidenziano la maggior esposizione delle lavoratrici madri al recesso dal mercato del lavoro in presenza di figli sino a tre anni di età.

  • Per Il 75% sono di lavoratrici e lavoratori di età tra i 29 e 44 anni con maggiore concentrazione nella fascia di età tra i 34 e 44 anni.
  • Circa il 65% di chi si dimette ha un solo figlio, il 30% due figli e il 5% più di due figli. L’età che più incide in questo fenomeno è quella fino a un anno, evidenziando la prevalenza dell’esigenza di primo accudimento. L’ ambito produttivo in cui sono più concentrate è il settore terziario, in linea con la più elevata presenza femminile.
  • La motivazione più frequente per oltre il 50% è la difficoltà di conciliazione con le esigenze di cura dei figli, sia per ragioni legate alla disponibilità dei servizi di cura, sia per ragioni di carattere organizzativo come l’assenza di parenti di supporto, l’elevata incidenza dei costi di assistenza per asili nido, baby-sitter, il mancato accoglimento al nido, la distanza dal luogo di lavoro, il cambiamento della sede di lavoro, l’orario di lavoro, la mancata modifica degli orari lavorativi, la mancata concessione del part-time, la modifica delle mansioni svolte… Significativo il dato sulla non accettazione delle richieste del part-time o di altre misure di flessibilità ricevuta dalle lavoratrici.

    La difficoltà di esercizio della genitorialità in maniera compatibile con la propria occupazione è quasi esclusivamente femminile (in una percentuale tra il 96 % e il 98%). La prevalente motivazione degli uomini che si dimettono volontariamente è invece il passaggio ad altra azienda.

Insomma, che lettura ne esce? Che ragionamento si sente di fare, alla luce dei precedenti dati, sul mondo del lavoro, oggi? Come viene considerato / percepito il lavoro femminile? Quali sono i modelli prevalenti? Quali le difficoltà? Donne in ruoli di responsabilità stanno aumentando?

È una domanda articolata, cercherò di fare sintesi. I livelli di partecipazione al lavoro delle donne sono più variabili ed eterogenei rispetto a quelli maschili, variano di più nel tempo, nello spazio, in relazione alla fase del corso di vita e al profilo socioculturale delle donne. Tradizionalmente i livelli di partecipazione al lavoro delle donne variano con l’età e tendono a contrarsi in corrispondenza col matrimonio e la nascita dei figli. I modelli partecipativi femminili variano per livelli di istruzione più di quelli maschili. Le donne istruite hanno una maggiore propensione al lavoro. I carichi familiari influenzano meno il livello di partecipazione delle donne istruite. Nella realtà contemporanea la crescita continua dei livelli di partecipazione femminile al lavoro si accompagna al permanere di meccanismi di discriminazione di genere. Infatti le donne sono meno presenti sul mercato del lavoro, meno occupate e più vulnerabili alla disoccupazione e alle crisi, permangono:

  • Disuguaglianze di accesso al lavoro: disparità fra uomini e donne nei tassi di attività, di occupazione, di disoccupazione.
  • Disuguaglianze nel lavoro: nelle condizioni di impiego e nelle opportunità di carriera. Minore presenza delle donne nel lavoro indipendente, maggiore vulnerabilità femminile alla precarietà occupazionale, difficoltà di accesso per le donne a settori e professioni tipizzati al maschile e a posizioni gerarchiche superiori (segregazione orizzontale/ verticale), differenziali retributivi per genere, pensioni più povere.
  • Una delle forme che assume la disuguaglianza di genere è quella dell’esclusione o marginalità lavorativa. Questa forma di disuguaglianza è l’esito di altre che la precedono e l’affiancano nell’educazione ai ruoli sociali, nelle scelte scolastiche, nella divisione dei carichi di cura in famiglia e alimenta, a sua volta, altre forme di disuguaglianza, esclusione o marginalità nelle condizioni di vita, nella politica, nelle istituzioni, in generale nella vita pubblica.

La povertà è più elevata e concentrata dove è minore il tasso di occupazione. Le donne che lavorano sono concentrate soprattutto nelle professioni «a carriera corta» e nei livelli bassi o medi delle gerarchie aziendali e delle amministrazioni. Le progressioni di carriera per le donne sono più lente e limitate che per gli uomini. Le spiegazioni sono diverse:

  1. scarso interesse per la carriera da parte delle donne: non sarebbero i meccanismi di carriera ad allontanare le donne dai vertici, ma le donne a rifiutarli per difficoltà di conciliare il lavoro di cura
  2. caratteristiche organizzative delle imprese: vincolano l’accesso ai ruoli dirigenziali all’accettazione di condizioni di lavoro proibitive per chi ha responsabilità familiari
  3. relazioni di potere tra i generi: gli uomini che comandano difendono le loro posizioni e l’accesso maschile alle carriere favorendo l’esclusione delle donne dai vertici aziendali.

Le carriere si costruiscono nei primi anni di lavoro, gli stessi in cui si costruiscono le famiglie (tra i 30 e 40 anni). La coincidenza di questi percorsi (lavorativi e familiari) penalizza le donne, che in una competizione giocata in primo luogo sul tempo dedicato al lavoro risultano sfavorite rispetto agli uomini. I ruoli direttivi sono impostati su modelli organizzativi pensati per soggetti liberi da qualsiasi responsabilità di cura. La maternità è il principale fattore di discriminazione sul lavoro. Le lavoratrici madri sono ritenute dai datori di lavoro meno produttive e meno affidabili, più soggette ad assenze, meno coinvolte nel lavoro. I lavoratori padri sono considerati invece più affidabili, più concentrati sul lavoro, più interessati e disponibili a lavorare e fare carriera.

In sintesi nel nostro mercato del lavoro per le donne:

  • permane alta la disoccupazione: l’occupazione femminile è lontana dagli obiettivi europei del 60%; difficoltà di ingresso e di ricollocazione, uscita precoce delle donne di età centrale, discriminazioni e non attenzione alle differenze di genere
  • c’è maggiore flessibilità/maggiore precarietà (contratti atipici, discontinui, part time involontario, a chiamata, informali…) con conseguente copertura previdenziale debole
  • permane la segregazione formativa e professionale verticale e orizzontale basata su stereotipi e condizionamenti culturali con forte discriminazione nell’inquadramento
  • la conciliazione/condivisione dei tempi è fortemente asimmetrica: il ruolo di cura è prevalentemente femminile
  • welfare debole per servizi alla famiglia, insufficienti nelle fasi di transizione della vita familiare,
  • è forte il fenomeno dello scoraggiamento (non cerco lavoro, carriere interrotte o incomplete)
  • le posizioni apicali sono rare, spesso irraggiungibili, fenomeno del soffitto di cristallo/muro di gomma (quasi sconosciuta l’opportunità di mentoring)
  • le donne sperimentano spesso la multipresenza, la presenza alternata nel lavoro dovuta allo squilibrio nel ciclo lavorativo e nel ciclo di vita/età
  • permangono differenziali salariali (tra settori tecnologicamente avanzati e non, gender gap salariale)
  • c’è rigidità orari di lavoro: superiori alla media europea, organizzazione del lavoro gerarchizzata, prevalentemente verticale, conseguente difficoltà di accedere alla formazione interna ed esterna all’azienda, difficoltà di conciliazione tempo lavoro/ tempo cura/ tempo per sé, co implicazioni sul benessere individuale e familiare e sulla progettualità di vita con conseguenze sul welfare e sulle generazioni future (denatalità)
  • statistiche allarmanti dei dati di molestie verso le donne nei luoghi di lavoro
  • lo stereotipo disegna ancora il lavoro femminile come compensazione a poca femminilità (rivalsa e compensazione), come integrativo del reddito maritale (lavoro sussidiario, part-time,…), come marginale, debole, sottovalutabile (fuga dalla dipendenza, dalla solitudine, dalla casalinghità….) come incrinante l’identità del modello sociale (la retorica della buona madre).

Le donne non hanno ancora pari opportunità di esprimere le loro capacità (di stile decisionale, relazionale e professionale), di assumere responsabilità lavorative, di esercitare la propria professionalità in settori diversi, di fare carriera.

In Italia:

  • non si pratica una politica conciliativa e di condivisione ampia particolareggiata e consolidata
  • non si possiede ancora una cultura delle differenze di genere di cui tener conto nelle diverse fasi professionali della vita lavorativa (accesso e scelta dei/delle candidati, valorizzazione del merito e delle competenze, parità salariale, assenza di molestie e stereotipi, progressione nelle carriere apicali e nelle posizioni di leadership, politiche sociali di sostegno alla maternità e alla condivisione del lavoro di cura…).

Alessandra Cecconello

ALESSANDRA CECCONELLO

Accanto a Francesca Lazzari, Alessandra Cecconello, medico e odontoiatra.

La sua seconda professione è nel terzo settore: come volontaria e vicepresidente di un ente autorizzato per le adozioni internazionali dal 1997 al 2007 e come Presidente di Alinsieme cooperativa sociale dal 2008 ad oggi, realtà che ha co-fondato con altri 5 soci.

L’atro terzo della sua vita è occupato dalla famiglia, un marito e 4 figli, di cui i primi tre adottati tra il 1993 e il 2000, mentre l’ultima, la quarta, nata nel 2001.

Fil Rouge di questi tre mondi? L’interesse per le persone, il desiderio di prendersi cura, la curiosità, il piacere di creare visioni e connessioni, sperimentare e osare.

Alessandra, come Alinsieme avete organizzato due edizione de “I primi 1000 giorni, una rassegna che scruta, studia e racconta il periodo dal concepimento ai due anni di vita. Per la terza edizione che, per cause di forza maggiore, è stata sospesa, avevate voluto concentrarvi su una figura chiave di questa rassegna, ma oserei dire della vita: la madre. Parlare di madre in questo contesto di Ci Si Vede in Rete ci ha portato alla mente una frase in cui ci siamo imbattuti in rete: “vivo in un Paese che mi chiede di fare figli e mettere su una bella famiglia tradizionale, ma allo stesso tempo mi chiede di lavorare 40 ore settimanali uscendo di casa alle 7/8 e rientrando alle 19/20. Così, se faccio un figlio, lo vedo in videochiamata durante la pausa caffè”. Come si sente di commentare questa frase?

Mi domando prima di tutto se è solo il nostro paese che chiede alle donne di esserci sempre e per tutto o se è un problema culturale generale.

È stato proprio partendo da questa domanda che avevamo invitato alla terza edizione de “I primi 1000 giorni” la demografa Alessandra Minello autrice di “Non è un paese per madri”. La sua osservazione è molto chiara: nei paesi occidentali è in atto da decenni un processo di riequilibrio del potere tra i generi che si compone di due fasi. Nella prima sono le donne a conquistare un posto nello spazio pubblico inserendosi nel mondo lavorativo e ricoprendo ruoli sempre più importanti.

Nella seconda è l’uomo che diventa agente attivo del cambiamento partecipando sempre di più al lavoro di cura familiare e riequilibrando il carico di responsabilità di cura che grava sulle spalle delle compagne.

Ecco, in Italia siamo fermi da tempo alla prima fase nella quale, peraltro, nemmeno brilliamo. E per facilitare il processo non è necessario solo avere un welfare generoso, servizi per la famiglia presenti ed efficienti, alti livelli di occupazione, ma è indispensabile un cambio culturale forte sulle differenze di genere e le loro conseguenze sulla cura dei figli (e degli anziani di casa, aggiungerei, per poter realizzare una trasformazione capace anche di invertire il drammatico calo demografico che stiamo vivendo da decenni).

Come Cooperativa che organizza e gestisce servizi educativi per bambini e ragazzi, servizi di sanità, prevenzione, riabilitazione,… che desideri percepite dai genitori e, soprattutto, dalle figure femminili che a voi si approcciano?

La prima osservazione che mi viene in mente è il senso di smarrimento e stanchezza di moltissimi genitori. Dovrei dire soprattutto delle madri, dal momento che generalmente sono loro ad avere l’incarico di seguire istruzione, svago e salute dei figli. Aggiungiamo a questo anche la fatica derivata da un’occupazione e dalla gestione familiare di due anni di pandemia.

Il desiderio non espresso, ma che emerge chiarissimo, è “pensateci voi”. Di fronte a difficoltà scolastiche, problemi comportamentali, irrequietezza dei figli la percezione che abbiamo è una diffusa incapacità di leggere e interpretare correttamente i segnali e di adeguare i propri comportamenti alle necessità dei bambini.

È come se mancassero l’energia necessaria e la competenza di base per affrontare il compito educativo. A volte perché è delegato di deafult esclusivamente a loro, a volte perché non è condiviso con il padre che viene escluso “a priori” o per convinzione personale, “solo io sono in grado di capire cosa è meglio per mio figlio”, o per pressione culturale e relativo senso di colpa, “una buona madre sa come crescere suo figlio”.

Insomma, un equilibrio instabile che è arrivato al punto di rottura testimoniato dall’impennata delle difficoltà di bambini e adolescenti che stanno emergendo nell’ultimo anno a livello scolastico, sanitario e sociale. Certo, servono servizi efficienti e investimenti pubblici adeguati, ma saranno inutili se non verranno sostenuti da un cambio culturale importante.

Potrebbe piacerti...